Considerazioni generali
Alla base del Piano Casa del governo Berlusconi vi sono due questioni fondamentali:
1. su quali basi fondare il futuro del paese;
2. quale destino affidare a quanto resta del sistema delle regole con cui ogni paese civile, ad eccezione dell’Italia, governa le trasformazioni della città e del territorio.
In riferimento alla prima questione, quello che colpisce in modo particolare è la visione di corto respiro che il Piano Nazionale nasconde.
Quando il governo Berlusconi ne ha annunciato l’emanazione, ha affermato che sarebbe stato un provvedimento importante per la ripresa economica, in quanto si sarebbero scavalcati gli strumenti urbanistici vigenti, che rappresentavano la camicia di forza delle regole imposte dai fautori della cultura ambientalista. E’ stato l’Istituto Centrale di Statistica a confutare questa rozza semplificazione. Infatti ha reso pubblico nel maggio del 2009 che nei dodici anni compresi tra il 1995 e il 2006, sono stati costruiti più di tre miliardi di metri cubi di costruzioni. Circa il 60% per attività commerciali e produttive, il resto, un miliardo e 268 mila metri cubi, per residenze. Si tratta di oltre 3 milioni di alloggi: uno tzunami di cemento che non ha alcun rapporto con la crescita demografica. La popolazione italiana è pressoché stabile, ed aumenta soltanto il numero degli immigrati. Qualunque governo dotato di buon senso e serietà sarebbe dovuto partire da questa enorme contraddizione: si è costruito moltissimo, eppure ci sono decine di migliaia di famiglie che vivono in stato di disagio abitativo, in ogni luogo del paese. La risposta sta nella ideologia liberista che abbiamo vissuto e stiamo vivendo: non si è costruito per dare soddisfazione a chi la casa non ce l’aveva. Si è costruito per il mercato, e basta. Per i fondi immobiliari internazionali, non per i lavoratori e le loro famiglie. I finanziamenti per le case popolari sono stati pressoché azzerati, mentre per l’edilizia convenzionata(le case in cooperativa, oggi ribattenzate housing sociale) i soldi si sono trovati. Oggi, a causa della crisi e della precarizzazione del lavoro, si scopre che esiste una fascia sempre più larga della popolazione che non ce la fa a pagare affitti altissimi. Tantomeno a pagare le rate di un mutuo per acquistare una casa. Dunque, nel varare il Piano casa, il governo ammette implicitamente il fallimento della deregulation di questi anni: abbattere ogni regola e costruire in modo dissennato è servito soltanto ad alimentare la rendita immobiliare speculativa, ad aumentare le disuguaglianze sociali e a fare scempio del paesaggio italiano. Non a risolvere il problema della casa. In un paese in cui si è costruito più di quanto fosse indotto dal mercato, la ricetta della politica è dunque quella di affidarsi ad un nuovo ciclo edilizio: non accade in nessun altro paese dell’Europa civile.
Quando il governo Berlusconi ne ha annunciato l’emanazione, ha affermato che sarebbe stato un provvedimento importante per la ripresa economica, in quanto si sarebbero scavalcati gli strumenti urbanistici vigenti, che rappresentavano la camicia di forza delle regole imposte dai fautori della cultura ambientalista. E’ stato l’Istituto Centrale di Statistica a confutare questa rozza semplificazione. Infatti ha reso pubblico nel maggio del 2009 che nei dodici anni compresi tra il 1995 e il 2006, sono stati costruiti più di tre miliardi di metri cubi di costruzioni. Circa il 60% per attività commerciali e produttive, il resto, un miliardo e 268 mila metri cubi, per residenze. Si tratta di oltre 3 milioni di alloggi: uno tzunami di cemento che non ha alcun rapporto con la crescita demografica. La popolazione italiana è pressoché stabile, ed aumenta soltanto il numero degli immigrati. Qualunque governo dotato di buon senso e serietà sarebbe dovuto partire da questa enorme contraddizione: si è costruito moltissimo, eppure ci sono decine di migliaia di famiglie che vivono in stato di disagio abitativo, in ogni luogo del paese. La risposta sta nella ideologia liberista che abbiamo vissuto e stiamo vivendo: non si è costruito per dare soddisfazione a chi la casa non ce l’aveva. Si è costruito per il mercato, e basta. Per i fondi immobiliari internazionali, non per i lavoratori e le loro famiglie. I finanziamenti per le case popolari sono stati pressoché azzerati, mentre per l’edilizia convenzionata(le case in cooperativa, oggi ribattenzate housing sociale) i soldi si sono trovati. Oggi, a causa della crisi e della precarizzazione del lavoro, si scopre che esiste una fascia sempre più larga della popolazione che non ce la fa a pagare affitti altissimi. Tantomeno a pagare le rate di un mutuo per acquistare una casa. Dunque, nel varare il Piano casa, il governo ammette implicitamente il fallimento della deregulation di questi anni: abbattere ogni regola e costruire in modo dissennato è servito soltanto ad alimentare la rendita immobiliare speculativa, ad aumentare le disuguaglianze sociali e a fare scempio del paesaggio italiano. Non a risolvere il problema della casa. In un paese in cui si è costruito più di quanto fosse indotto dal mercato, la ricetta della politica è dunque quella di affidarsi ad un nuovo ciclo edilizio: non accade in nessun altro paese dell’Europa civile.
Purtroppo, di fronte alla scelta del governo Berlusconi, l’opposizione non è stata in grado di contrapporre una visione basata sulla riqualificazione urbana e sul rigoroso rispetto delle regole. Tutti uniti – salvo le forze politiche e culturali assenti dal parlamento – in un amore sconfinato per il cemento. Questo amore per i metri cubi viene confermato dalla legge della Regione Basilicata n. 25 del 7 agosto 2009 << Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente>>. In questa sciagurata legge non vi è alcun ragionamento sull’indispensabile necessità di fermare la dissennata urbanizzazione e di indirizzare il futuro verso la riqualificazione delle disordinate periferie costruite, con qualità scadente, in questi anni. Al contrario, si afferma nei suoi principi che è finalizzata <<a contrastare la crisi economica>>. Si è costruito troppo e il centrosinistra della nostra regione, pretende di uscire dalla crisi costruendo ancora e ampliando le aree da urbanizzare. E’ noto che in Basilicata sono operanti o si stanno per adottare Piani urbanistici comunali(vedi Matera) follemente sovradimensionati rispetto alle reali esigenze della popolazione. Una popolazione che invecchia e dove migliaia di giovani per mancanza di opportunità di lavoro sono costretti ad andare via in cerca di futuro. Con la nuova legge si istiga ad aumentare la dose di terreni sottratti alla naturalità. Si sottolinea, che questa scelta sia fatta propria dalla destra neoliberista è comprensibile. Sta nel loro dna. Che l’opposizione di centro sinistra si dimostri incapace di indicare al paese una strada alternativa, è la più preoccupante conferma del vuoto ideale che si è prodotto nel mondo progressista. La Regione Basilicata, si distingue purtroppo anche nella seconda questione contenuta nel Piano casa berlusconiano, e cioè la sistematica demolizione delle regole di civiltà.
Una delle maggiori menzogne utilizzate come cortina ideologica al malaffare urbanistico, è stata quella che vedeva un paese fermo a causa dei vincoli che frenavano lo sviluppo. Oggi scopriamo che l’urbanizzazione selvaggia ha aggredito << quasi senza soluzione di continuità, l’area pedemontana lombardo-veneta, le nostre coste( inclusa quella jonica di cui conosciamo i disastri in atto), le città grandi o piccole che siano, le due isole, ecc.>>. Il neoliberismo ha dunque sepolto l’Italia sotto una montagna di cemento e asfalto, facendo scomparire paesaggi storici e meravigliose campagne e pretende ancora di raccontare la favola del predominio di un esasperato <<vincolismo>>.
Sono le regole che hanno salvato e reso belle le città e il paesaggio.
Questo chiaro e semplice concetto non è stato compreso dalla maggioranza di centrosinistra della Regione Basilicata, che anzi si colloca tra i peggiori, se non il peggiore, tra gli esempi di scriteriata deregulation. Se formalmente vengono esclusi dal Piano Casa i centri storici e le aree vincolate, con il comma 1 dell’articolo 6 della legge, viene cancellata l’urbanistica come metodo finalizzato a rendere migliore la vita dei cittadini. La cultura del centrosinistra non è dunque alternativa al disegno neoliberista, ma, si dimostra invece subalterna. Quella cultura che vuole a tutti i costi mantenere in piedi la commedia degli equivoci che la potente lobby dei costruttori ha saputo costruire in questi anni.
Il provvedimento del governo Berlusconi privilegiava, come è noto, il cosiddetto housing sociale. Una <<denominazione d’origine controllata>>, denominazione che proviene dal mondo imprenditoriale e partiva dall’assunto che si dovesse cancellare l’intervento pubblico e lasciare ai privati la soluzione del problema. In tutta l’Europa occidentale si è continuato a costruire alloggi pubblici, addirittura in Spagna il governo sta acquistando una parte del gigantesco stock invenduto per farne alloggi pubblici. Una azione del genere, nel nostro piccolo mondo, è presente nel programma elettorale del centrosinistra per le comunali(Materaintesta – la passione in comune- programma 2010/2015 - pag.37 – al punto n.) dove si afferma: <<Invertire il processo di dismissioni del patrimonio pubblico, chiedendo all’Ater di valutare l’opportunità di acquisire sul mercato alloggi già realizzati e rimasti invenduti.
Solo da noi si vuole continuare sempre a costruire, consumando altro prezioso territorio agricolo. Sono diversi, ormai, i libri che analizzano le cause della crisi immobiliare negli Stati Uniti. Vale l’esempio del libro di Massimo Gaggi “ La Valanga”, che racconta in un paragrafo gli esiti dell’housing sociale negli USA: i soldi pubblici hanno gonfiato le tasche degli speculatori e hanno lasciato senza casa la povera gente. Negli Stati Uniti l’housing sociale è stato abbandonato. Da noi, si vuole continuare nella commedia e la Regione Basilicata si è dimostrata solerte e pronta a sollecitare il consenso dei cementificatori. L’articolo 4 delle legge recita: <<Programmi integrati di promozione di edilizia residenziale sociale e di riqualificazione urbana>>. Dietro questa formulazione gli articoli di legge chiariscono le finalità del provvedimento: sostenere l’housing sociale. Si continua ottusamente a sostenere un segmento dell’edilizia già saturo e inservibile allo scopo di dare una casa alla fasce povere della società e alle giovani coppie. Oggi, l’unico modo per risolvere il problema della casa, è quello di un nuovo ruolo dello Stato. E’ lo Stato che, nei momenti di crisi, deve saper indicare una prospettiva di grande respiro. Se il Centro sinistra, la Basilicata e tutte le altre regioni governate dal centrosinistra, avessero rifiutato di partecipare alla gara al ribasso con la cultura berlusconiana e provato a cimentarsi con questa sfida, avrebbero creato le condizioni per ricostruire una cultura in grado di delineare nel recupero del paesaggio e dell’ambiente e nella riqualificazione delle nostre disordinate città i settori su cui fondare uno sviluppo nuovo.
E’ il momento di voltare pagina dopo decenni di un dibattito senza fine, estenuante e tra sordi. E’ il momento del rifiuto del ricatto della lobby trasversale del cemento, per sconfiggere: “Quell’ideologia per la quale il privato vale più del pubblico, il mercato più dello Stato, il proprietario più dell’abitante, il cliente più del cittadino, il prepotente più del mite, l’arrogante più del solidale”(Edoardo Salano). E’ il momento di una vera stagione di “Urbanistica Partecipata”, per mettere in campo quelle scelte che portino ad una variazione radicale nelle scelte urbanistiche, per indirizzare la politica verso la "crescita zero", ovvero allo stop al consumo di territorio. Non consumare territorio non vuol dire non costruire. Vuol dire solo passare dal nuovo al recupero. Vuol dire soprattutto progettare una cultura dell’abitare, una cultura dell’ambiente, una cultura del paesaggio, una cultura del luogo in cui poter svolgere al meglio la propria vita e le proprie attività. Pianificare secondo le regole che una società civile si è data e non in spregio ad ogni strumento di pianificazione. La città è un organismo vivente e non può vivere con tante sue parti malate. E insieme a lei faticano a vivere i suoi cittadini. Il recupero di ogni luogo abbandonato è indispensabile , non solo per dare una casa a chi non ce l’ha, ma per realizzare spazi per la cultura, per i servizi, per costruire pratiche di vita comune.
La “Città sostenibile” non la si costruisce ampliandola a dismisura, ma riqualificandola e rendendola più bella. La si costruisce attraverso “l’ascolto” di chi la abita, di chi la vive giorno dopo giorno.
LE ARGOMENTAZIONI
COME NASCE LA LEGGE REGIONALE SUL “PIANO CASA”
La Regione, dopo aver protestato contro il Governo Nazionale sul cosiddetto pacchetto“piano casa”, nell’agosto del 2009 approva la legge deroga agli strumenti urbanistici n. 25 /2009.
I TEMPI DELLA LEGGE DEROGA
- secondo l’accordo Stato – Regione e Enti Locali del 31 marzo 2009 le leggi regionali in deroga agli strumenti urbanistici avrebbero dovuto avere validità non superiore ai 18 MESI;
- la legge della Regione Basilicata n. 25 agosto 2009 ha validità 24 MESI.
LR 25/2009
Art. 1 : Finalità :“La Regione Basilicata promuove misure per il sostegno al settore edilizio attraverso interventi straordinari finalizzati a migliorare la qualità abitativa, ad aumentare la sicurezza del patrimonio edilizio esistente, a favorire il risparmio energetico e l’utilizzo di fonti rinnovabili, a ridurre il consumo dei suoli attraverso il riuso del patrimonio edilizio esistente.”
Art. 4 Programmi integrati di promozione di edilizia residenziale sociale e di riqualificazione urbana : “… la Regione promuove e valuta ai fini dell’ammissibilità proposte di intervento di edilizia residenziale che prevedano la realizzazione o il recupero di alloggi sociali nella misura non inferiore al 40% della volumetria destinata alla residenza …
Nella selezione sarà data priorità alle proposte che prevedono la riqualificazione urbana e il riuso del patrimonio edilizio esistente. …”.
A settembre del 2010 la Regione Basilicata approva il DGR 1612 / 2010. La delibera, oltre a dettare i tempi per la presentazione delle proposte (15 g – 45 g - 45 g -30 g), chiarisce le procedure ed indica gli ambiti dove è possibile proporre Piani Integrati: ambito urbano e/o periurbano identificati dal Comune.
FINALITA’ PIANI INTEGRATI: LA RIQUALIFICAZIONE URBANA E LA RIORGANIZZAZIONE DEL TESSUTO URBANISTICO EDILIZIO AMBIENTALE IN AMBITO URBANO E PERIURBANO
DEFINIZIONE DI PERIURBANO: rispondere alle seguenti caratteristiche:
“STRETTAMENTE CONTIGUE E COLLEGATE ALL’AMBITO URBANO, PARZIALMENTE EDIFICATI ED URBANIZZATI, ED INOLTRE DEVE PRESENTARE ESIGENZE DI RIQUALIFICAZIONE E/O RIORGANIZZAZIONE DEL TESSUTO URBANISTICO, EDILIZIO ED AMBIENTALE ESISTENTE. “
LA PRIMA COSA CHE IL COMUNE AVREBBE DOVUTO FARE E NON HA FATTO: indicare le aree suscettibili di riqualificazione e/o di riorganizzazione urbanistica;
- buona parte di questi Ambiti localizzati nel periurbano non necessitano(secondo il nostro giudizio) di interventi di riqualificazione o riorganizzazione urbanistica ( ambiti 4, 6, 8,13,15 e 18);
- buona parte di questi Ambiti localizzati nel periurbano (ambiti 4, 6,13 e 18) presentano problemi seri di dissesto idrogeologico; si tratta di aree inadatte alla trasformazione che con molta probabilità non sarebbero mai diventate zone residenziali.
LA TRASFORMAZIONE URBANISTICA DEI SINGOLI AMBITI DEVE TROVARE UNA SUA COERENZA CON LE FINALITA’ E PRIORITA’ DELLA LEGGE REGIONALE E DEL DGR 1612 / 2010.
AMBITI URBANI
1) nel dispositivo di approvazione degli atti, manca l’istruttoria tecnica urbanistica degli ambiti in oggetto; nessun accenno viene fatto alla necessità di interventi di riqualificazione urbana o di riuso, secondo le finalità e le priorità della legge (cosa che per esempio il R.U. 2010 fa, mettendo in evidenzia gli ambiti dedicati ai Piani integrati):Piccianello
L’elaborato P. 3 del R.U. 2010 individua gli ambiti di città a bassa qualità urbana che necessitano di Programmi Integrati di rigenerazione urbana; secondo la legge regionale 25/2009 questi ambiti avrebbero dovuto avere la priorità, ma come abbiamo visto, nessun progetto è stato presentato.Cappuccini
- l’Ambito 7 di via Dante: secondo il nostro parere, non presenta caratteristiche di interventi di rigenerazione urbana, di riqualificazione e/o riorganizzazione del tessuto urbanistico; secondo il PRG 2006 e il R.U. 2010 l’ambito in oggetto è destinato a VERDE DI STANDARD
(Vp7); ci sembra evidente la forzatura di inserire l’area nel piano casa;
- AUDP 30 di via dei Normanni: anche in questo caso, a parere nostro, si tratta di un ambito che non necessita di interventi di rigenerazione urbana, di riqualificazione e/o riorganizzazione del tessuto urbanistico, per una ragione molto semplice in quanto è in corso un intervento di riqualificazione urbanistica di iniziativa privata convenzionata con il Comune; sarebbe opportuno conosce i contenuti di questa convenzione prima di decidere; dove per altro solo il 15% della Sul è destinati a residenza, il resto a servizi collettivi, mercato, piazza-teatro all’aperto, ecc.; c’è un problema di proprietà pubbliche e di cessioni di aree (questo problema lo riscontriamo anche in altri ambiti, la disponibilità eventuale di suoli pubblici deve essere definita a monte anche in termini di contropartite pubbliche ); in breve, siamo di fronte ad un’area che sotto il profilo urbanistico è ben definita; dove non è il caso di insistere con ulteriori volumi; l’eventuale domanda di cambiamento di destinazione d’uso della Sul potrebbe essere affrontata in maniera idonea e con le dovuta compensazioni pubbliche nel quadro del riassetto generale dell’area urbana e dunque con il R.U. 2010, strumento certamente più idoneo del piano casa;
AREE DISMESSE: MULINO ALVINO ( BARILLA) non è possibile affrontarla la trasformazione di questo ambito solo dal punto di vista dell’impulso residenziale; il tema della riqualificazione dell’area è molto più complesso; il rischio anche in questo caso che l’urbanistica venga ridotta a piano di fabbricazione; senz’altro il R.U. o il Piano Strutturale sono gli strumenti più adatti per affrontare questo tipo di problematiche (aree di margine urbano, contigua al Parco, accesso monumentale, il cui ambito di riqualificazione non può essere ridotto alle particella catastali della singola proprietà, ecc.).
GLI INCENTIVI ALLA TRASFORMAZIONE DEL PIANO CASA: nei comparti periurbani il meccanismo di incentivo proposto dal Piano Casa non è perequativo; se consideriamo il valore modesto della rendita delle aree, la percentuale di Sul residenziale a libero mercato ( max 60% privata) risulta eccessiva e per nulla equilibrata.
Se applicassimo la metodologia perequativa con premialità del R.U. 2010 probabilmente otterremmo un maggiore equilibrio degli interessi in gioco; infatti, pur partendo da rendite significative dei suoli, la percentuale di Sul residenziale di tipo sociale prevista negli ambiti R.U. 2010 è pari al 40,3% , l’edilizia privata si attesta al 59,7% (quando affronteremo il tema del R.U. 2010 si scoprirà che con alcune ulteriori modifiche è possibile migliorare le percentuali di edilizia sociale e specificatamente alla realizzazione di CASE POPOLARI); Questo dimostra che se si utilizzano gli strumenti ordinari di governo delle città, in modo intelligente e nell’interesse pubblico, si possono ottenere buoni risultati. Basta ragionare con la testa e non lasciarsi affascinare dal mecenatismo della rendita.
- la pianificazione è sempre in mano pubblica, cosa che non avviene con il Piano casa;
- le scelte di trasformazione si basano sempre su presupposti di tipo urbanistico: caratteristiche ambientali dell’ambito in esame ,orografia, geologia, paesaggio, infrastrutture presenti, grado di urbanizzazione, regime attuale dei suoli prevalente, impatto urbanistico ambientale della trasformazione richiesta, coerenza con strumenti di programmazione e di sviluppo, valutazioni giuridiche, economiche-sociali, ecc. Con il piano casa prevale la logica delle particelle catastali, è la proprietà che detta le regole di trasformazione non l’analisi urbanistica;
- con gli strumenti ordinari di governo delle città è possibile ottenere maggiori benefici pubblici, oltre all’edilizia sociale si possono contrattare: cessione di aree a standard, immobili e quote edificatorie, beni culturali, ecc.); col piano casa la proposta del privato non la si può contrattare.
LA PROPOSTA DI DELIBERA, che portiamo all’attenzione del Consiglio, contiene una serie di affermazioni e dati che è bene precisare con maggior puntualità: dati relativi alla tensione abitativa (citare fonti e metodo di rilevamento) (es. dati CRESME);spiegare i termini di valutazione “oggettiva” delle proposte, sotto il profilo urbanistico tenuto conto della finalità della legge regionale, lo stato dell’arte delle aree, il regime urbanistico dei suoli PRG2007 e redigente R. U. ; spiegare il tipo di valutazione tecnica-urbanistica che è stata fatta, se è stata fatta, al di la della richiesta dell’impresa, sulla reale necessità o meno di trasformazione degli ambiti in esame.
In merito alla proposta di delibera da sottoporre all’attenzione del Consiglio, si segnala la pericolosità della norma introdotta nel bando che concede al privato il potere di decidere di “delocalizzare parte delle superfici in altri ambiti” mediante accordo tra proponenti o accorpamento dello stesso proprietario.
La delocalizzazione/accorpamento dei carichi urbanistici non è altro che una tecnica urbanistica delicatissima la cui gestione richiede una direzione e gestione pubblica chiara e ferma negli obiettivi che vanno dichiarati a monte e non imposti da una sola parte.
Ricordiamo infine, che la deliberazione della Giunta Regionale del 28 settembre 2010, n. 1612, all’articolo 3 comma 5 afferma: LA PROPOSTA DI DELIBERA, che portiamo all’attenzione del Consiglio, contiene una serie di affermazioni e dati che è bene precisare con maggior puntualità: dati relativi alla tensione abitativa (citare fonti e metodo di rilevamento) (es. dati CRESME);spiegare i termini di valutazione “oggettiva” delle proposte, sotto il profilo urbanistico tenuto conto della finalità della legge regionale, lo stato dell’arte delle aree, il regime urbanistico dei suoli PRG2007 e redigente R. U. ; spiegare il tipo di valutazione tecnica-urbanistica che è stata fatta, se è stata fatta, al di la della richiesta dell’impresa, sulla reale necessità o meno di trasformazione degli ambiti in esame.
In merito alla proposta di delibera da sottoporre all’attenzione del Consiglio, si segnala la pericolosità della norma introdotta nel bando che concede al privato il potere di decidere di “delocalizzare parte delle superfici in altri ambiti” mediante accordo tra proponenti o accorpamento dello stesso proprietario.
La delocalizzazione/accorpamento dei carichi urbanistici non è altro che una tecnica urbanistica delicatissima la cui gestione richiede una direzione e gestione pubblica chiara e ferma negli obiettivi che vanno dichiarati a monte e non imposti da una sola parte.
I Comuni nei successivi 30 giorni verificano che le proposte pervenute, non vincolanti per il Comune e senza che le stesse possano attribuire ai proponenti alcuna aspettativa giuridicamente tutelata, rispondano alle finalità di cui all’art. 1.
PER TUTTE QUESTE RAGIONI CHIEDIAMO IL RITIRO DEL PROVVEDIMENTO SUL PIANO CASA e di pianificare con gli strumenti urbanistici previsti dalla Legge Regionale n.23/99.